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LE COSE A POSTO DALLA PARABOLA DEL FIGLIOL PRODIGO GIOVANNI 8

Nel posto del male (le cose a posto)
(Giovanni 8)

meditazione del sacerdote Alessandro Deho'

E si svuota il cuore, manca il respiro, da dentro senti che sono lacrime quelle che spingono per uscire. Credevi che il mondo fosse più semplice. Credevi di esserti mosso bene e di aver anche imparato qualcosa. Credevi che fosse sufficiente obbedire alle leggi, almeno a quelle più evidenti, quelle che tutti riconoscono. Credevi che non è poi così difficile dividere il giusto dallo sbagliato. Poi basta un silenzio di troppo, un cambio di prospettiva e tutto crolla. Anzi no, tu crolli, e quello che fino a quel momento sembrava santità diventa inferno. E vorresti morire.

Come quando porti una donna sorpresa in adulterio davanti a Gesù. Evidenza del male. Non ci possono essere discussioni. Lo so, qualcuno si sta servendo di lei per incastrare Gesù, ma qualcuno ci credeva davvero. Credeva che Gesù stesse smantellando ogni legge, che stesse relativizzando il bene e il male, che rendesse tutto lecito. Qualcuno credeva davvero che Gesù stesse distruggendo il passato e le sue leggi e le sue tradizioni. E allora porta l’evidenza dell’errore davanti ai suoi occhi. Una donna indifendibile. Cosa fare davanti all’incarnazione dell’errore?

Gesù non dice nulla, scrive per terra, dilata il tempo. E la prima cosa che si capisce leggendo questa pagina è la signoria di Gesù, non si lascia trascinare dagli eventi. Non ha urgenza di rimettere le cose a posto, non ha paura del mondo, non ha paura del male, non ha paura di essere giudicato, non ha paura dell’errore. Non ha paura. Si prende il tempo, non si lascia schiacciare dalle cose.

E questo mi mette in crisi. Gesù non ha paura di niente. Ha il cuore custodito Altrove. Quando invece vince l’atteggiamento da scriba o da fariseo invece nasce sempre l’urgenza di ordine. Ordine e disciplina, per coprire la nostra paura. Ordine e chiarezza per rimettere le cose a posto. Ma quale è il posto vero delle cose? E soprattutto quale è il nostro vero posto? Questo chiede Gesù.

Scribi e farisei insistono. E allora Gesù prende quella violenza che sente attorno a lui è fa una cosa bellissima, una di quelle che ti cambia la prospettiva per sempre: sposta l’attenzione. Chiede un passaggio di responsabilità. Chiede di esporsi. Non è azione risolutiva, vedremo, non sconfigge la violenza, ma aiuta la conversione dello sguardo, primo passo: responsabilità. Chi di voi è senza peccato? Che è come dire: tu rispetto all’errore da che parte stai? Quale posto occupi? Il male c’è e ci sarà sempre, non possiamo vivere come se non ci fosse, non possiamo immaginare un mondo senza male quindi la domanda vera diventa: tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi scaglia pietre? E cosa credi di fare, di seppellire il peccato? Stai dalla parte di chi sa sempre da che parte è la verità? Da che parte stai tu? Sì, “tu” e non “voi”, con un “chi” Gesù sfila fuori le identità personali dal mucchio. Nel mucchio la mia pietra si mischia con altre pietre ma quello è un gioco vigliacco. La domanda vera, quella che arriva a scuoterci anche oggi è “io da che parte sto rispetto al male?”. Vivo ancora nell’illusione che è qualcosa che è solo fuori di me? Vivo nell’illusione che con una violenza giusta io posso rimettere ordine? Vivo nell’illusione che la maggioranza e una legge chiara possono risolvere ogni problema? Vivo nella blasfema illusione che colpire chi sbaglia mi rende migliore? Vivo nel ricatto continuo che mi fa cercare sempre un nuovo colpevole per sottrarmi al giudizio? Vivo nella ossessione di trovare sempre un capro espiatorio su cui convogliare la violenza per salvarmi dalle pietre altrui? Rispetto al male che ci portiamo addosso, da che parte stiamo?

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(E la parte adultera che ci portiamo dentro? E quella violenza che nascondiamo? E quel risentimento che ci deforma il cuore? E quelle apparenze sempre negate e difese? Che posto occupiamo?)

I vecchi lasciano cadere i sassi. E se ne vanno. Non escono dalla logica della violenza, ma sono abbastanza furbi da non esporsi. Tropo rischioso. Meglio lasciar cadere i sassi, per questa volta.

E poi si china di nuovo, Gesù, a scrivere. Solo lui e la donna rimangono, e poi la guarda negli occhi. E le rivolge quella domanda splendida “dove sono?” che la vita è davvero questione di posizione. Dove si sono messi, dove sono andati, dove sono io e dove sei tu rispetto al male che comunque c’è, è dentro, che è impastato nelle cose della terra? Il male che è un mistero, il male che si vorrebbe seppellire, negare, distruggere. Il male che ci fa paura. Dove sono? Lontani gli scribi e i farisei, non reggono il confronto.

“Nessuno ti ha condannata?” chiede Gesù. “neppure io”, aggiunge. Gesù scardina la logica della condanna. Il male non si sconfigge condannandolo, non basta. Serve di posizionarsi in modo diverso. Anche la donna se ne va. E sembra una pagina di perdono e di conversione. Ma non è solo questo. Questa è una di quelle pagine che non si concludono. Rimane sospesa la domanda sulla responsabilità rispetto al male. Dove siamo chiamati a metterci? Quale il posto da occupare per rispondere al doloroso enigma del male? Se non posso condannarlo frontalmente, se non posso seppellirlo e ucciderlo scagliando pietro cosa mi rimane? Mettermi al centro del male stesso. Nel posto occupato dal male.

Gesù sceglie di posizionarsi nel cuore del male. Non prende le distanze, lo riconosce e lo abita. La croce. Gesù accetta di mettersi esattamente al centro del male, tra due crocifissi, accetta di perdere faccia, credibilità, fascino, accetta di deludere, accetta tutto, di farsi umiliare da ogni tipo di potere ma cammina nel cuore del male. Fin nel suo centro mortale, il Golgota. E lì compie l’unico gesto possibile: non condanna nessuno.

Non c’è altra via. Riconoscere il male, riconoscere che ci abita anche, che ne siamo comunque sempre complici, accettare di non apparire perfetti, accettare di perdere l’immagine che ci siamo costruiti ma stare, occupare, adagiarsi nel luogo esatto delle vittime del male. Del male che si compie e di quello che si subisce, ha poca importanza, si è sempre vittime anche da carnefici. Gesù sta, da solo, al posto della donna adultera. Assume quella posizione scomoda e non cerca capri espiatori, non condanna. Questo è quello che siamo chiamati a fare. Responsabilmente, rischiando. Riconosco il male, riconosco che fa male, ma comprendo anche che l’unica cosa che posso chiamare peccato è la “condanna”. Condannare è l’unico peccato. E imparare a prendere il posto dell’uomo, che è sempre vittima e carnefice insieme, prendere quel posto ma per non condannare più nessuno, per condannare ogni tipo di condanna. Prendere posto per disarmare la paura e la tentazione di un mondo perfetto.

www.alessandrodeho'.com

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